Il rapporto tra agricoltura e società è piuttosto complesso, soprattutto in ragione del fatto che è sulla società e sulla qualità della vita, dei suoi componenti che si riflettono anche gli impatti ambientali ed economici, positivi e negativi, delle scelte effettuate. Diviene sempre più centrale, in questo contesto, la capacità dell’agricoltura di fornire beni percepiti come fondamentali per il benessere delle comunità: sostenibilità, mitigazione dei cambiamenti climatici, qualità nutrizionale, cultura alimentare, qualità dei sistemi agro-ambientali e del paesaggio, salute, giustizia nei modi di produzione e consumo, relazioni sociali.
Il recente viaggio in Calabria, e la visita ad alcune aziende della provincia di Reggio Calabria, ha rappresentato un momento importante, una occasione di riconnettermi con il territorio di provenienza. Attraverso questo contributo, ho inteso cercare di costruire una “ mappa di senso” di una “ agricoltura altra” presente, persistente e resiliente. Un progetto che travalica i confini di una visione puramente localistica, a partire dal profilo delle produzioni, ma, cosa più sostanziale, cerca di rendere visibili i produttori che con tanta fatica e sudore quotidianamente cercano di riconnettere il cibo, al territorio in cui operano.
La Fattoria della Piana – un modello di sistema produttivo eco-sostenibile al 100%
La nostra visita all’azienda “Fattoria della Piana, comincia accompagnati da Lea 23 anni, che ci racconta la storia della fattoria e ci fa visitare tutti i puzzle di questa moderna ed ecosostenibile azienda.
Ci racconta come La Fattoria della Piana, marchio sorto sulle ceneri di una vecchia azienda agricola e zootecnica degli anni ’30, oggi è arrivato a esportare i suoi eccellenti prodotti lattiero- caseari fino in Nord America e Giappone, ma soprattutto a essere conosciuto a livello internazionale per la straordinaria organizzazione del ciclo produttivo che ha posto in essere. Un tempo qui, a due passi dalle gigantesche gru (sempre più malinconicamente ferme) del Porto di Gioia Tauro e dagli agrumeti (in buona parte abbandonati) della Piana di Rosarno – simboli, diversi ma equivalenti, del decollo economico di questa terra che poteva essere e non è stato, l’odierna Fattoria della Piana vivacchiava di agrumicoltura e producendo mozzarelle e formaggi di qualità che non superavano però la ristretta dimensione locale. Poi, a governare l’azienda è arrivato Carmelo Basile, giovane manager pieno di idee e di intraprendenza, che, nel breve volgere di pochi anni, ha trasformato l’azienda «applicando nuove tecnologie a secolari ricette di caseificazione».
La Fattoria della Piana è una cooperativa che si occupa della raccolta e della trasformazione del latte proveniente dalle fattorie di allevatori situate sull’Aspromonte, sul Monte Poro, nella piana di Gioia Tauro e nel Crotonese. Le attività dell’azienda coprono tutta la filiera agroalimentare: il centro aziendale ospita un allevamento di oltre 1000 capi bovini e una moderna sala mungitura; il caseificio lavora ogni giorno circa 20.000 litri di latte ovino, bovino e bufalino; la cooperativa si occupa direttamente della coltivazione dei foraggi per gli allevamenti e degli agrumeti destinati alla produzione di clementine per il mercato nazionale.
Figlia di un processo di ammodernamento agricolo che in Calabria (e forse anche oltre) annovera davvero pochi, pochissimi casi analoghi, la forza della Fattoria della Piana sta comunque nella capacità di aver saputo riunire assieme, in forma cooperativa, un terzo degli allevatori calabresi. Ad oggi la cooperativa conta un centinaio di soci, il 25% sono stranieri, il 50% sono giovani, e moltissime di loro sono donne. Conferiscono il latte circa 150 piccoli allevatori, che altrimenti in questa regione avrebbero avuto poche chance di mantenere l’attività e valorizzare i prodotti derivati dal latte delle proprie pecore e capre.
Altro punto di forza di questa realtà, è di essere stato in grado di applicare in maniera magistralmente funzionale un concetto elementare della filosofia ecosostenibile e dell’economia circolare: trasformare cioè i problemi in risorsa, traendo energia da letame, liquami e altri residui agricoli. Tutti gli scarti del caseificio e dell’agroindustria locale (letame, siero di latte, pastazzo d’agrumi, sansa d’olive, vinacce, scarti di ortofrutta) in sostanza, vengono utilizzati per produrre elettricità e calore e per soddisfare l’intero fabbisogno energetico aziendale. Quello che prima era un problema, che inquinava l’ambiente e che costava un sacco di soldi trattarlo è diventato una risorsa. Se a questa produzione aggiungiamo anche l’energia termica proveniente dagli impianti fotovoltaici collocati sulle stalle al posto delle vecchie eternit, ne vien fuori una capacità energetica (da fonti rinnovabili) che potrebbe soddisfare il consumo di 2.680 famiglie e che viene utilizzata qui per i processi produttivi del caseificio, consentendo di risparmiare combustibili fossili.
Carmelo Basile e il suo team di giovani tecnici che collaborano con le università di mezza Europa, quando si parla del loro successo, dicono, tra il serio e il faceto, di aver semplicemente preso alla lettera le strofe di quella vecchia canzone di Fabrizio De Andrè che cantava «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior…».
L’ultima chicca, quella che ha fatto guadagnare alla Fattoria della Piana, un ennesimo alloro – in questo caso il Premio Innovazione Amica dell’Ambiente 2010 da parte di Confindustria e Legambiente – è la realizzazione di un impianto di fitodepurazione che consente agli scarichi idrici dell’intera fattoria di essere depurati da migliaia di piante che, oltre a rendere l’acqua pulita e riutilizzabile, forniscono ulteriore biomassa per l’impianto di biogas.
La brochure aziendale, molto bella ed esplicativa recita: “Una Storia Che Inizia Dalla Terra, quella stessa terra che, citando un antico proverbio Masai, abbiamo ricevuto non in eredità dai nostri genitori, ma in prestito dai nostri figli. Risorsa preziosa di un’area che amiamo, la Piana di Gioia Tauro, situata nel cuore del Mediterraneo”. Una zona che purtroppo conosciamo molto bene, e che spesso viene accostata a situazioni di sfruttamento.
L’impresa cooperativa nasce in base a bisogni delle persone più deboli e marginalizzate; la cooperazione agroalimentare, nello specifico, ha storicamente costituito una sorta di reazione a carenze imprenditoriali nell’economia delle aziende agricole e costituisce tuttora una risposta efficace degli agricoltori della filiera ai rapporti di tipo monopolistico od oligopolistico presenti sul mercato dei mezzi tecnici e dei prodotti agricoli. Tali motivazioni non hanno perso di attualità. Ma oggi, in relazione alla crisi economica, altri elementi fanno della cooperazione agroalimentare una “carta vincente per l’agricoltura” .
La cooperazione agroalimentare appartiene, a pieno titolo, a quelle forme organizzative che inglobano l’impresa agricola e che possono essere individuate come sistemi di ordine superiore, anch’essi fattori di competizione (associazionismo produttivo, filiere, distretti). Altri elementi che accentuano l’attualità della cooperazione agroalimentare sono individuali nella sua capacità/possibilità di valorizzare l’identità rurale, di generare capitale sociale, nonché di incentivare nell’agricoltura modernizzata locale, a partire dalle imprese socie, processi di riconversione tecnologica, con il riadattamento delle tecniche ai nuovi contesti produttivi e di mercato . Partire quindi dalla consapevolezza che “l’isolamento, la scarsità di risorse economiche” di una singola azienda o di un singolo soggetto, finché sono vissute in termini individuali restano problemi, ma la somma di tanti piccoli problemi individuali, se sapientemente gestiti ed individuati possono risultare una grande risorsa. Il mondo cooperativo, ieri ma sempre più oggi deve riuscire a riscoprire e valorizzare l’elemento della “collaborazione” come motore e traino per riuscire a rivitalizzare oltre che le aziende stesse, interi territori sempre più abbandonati e soggetti allo spopolamento.
Angelo Sofo